lunedì 2 marzo 2009

8 marzo : Giornata internazionale delle donne

La data dell’8 marzo è la Giornata Internazionale delle Donne e simboleggia la lotta delle donne di tutto il mondo per affermare i loro diritti, le loro aspirazioni, per uscire da una condizione di subalternità e di oppressione.
In questi ultimi 100 anni le donne si sono faticosamente battute per essere cittadine a pieno titolo sia nella società sia nel lavoro, partendo dalle norme della Costituzione, al diritto di voto, attraverso tutte le leggi per la parità del lavoro, alla tutela della maternità e paternità, nella condivisione dei lavori di cura con i propri partner, a partire dalla conciliazione fra tempi di vita privata, di lavoro, e di famiglia.
Valori che ancora oggi non trovano una piena realizzazione e vanno difesi. A questo proposito mi sento di condividere insieme con quanto Lilli Gruber afferma a conclusione del libro “Streghe” La riscossa delle donne d’Italia al capitolo: Né angeli, né diavoli di cui vorrei citare un breve stralcio.
«Il mio viaggio tra le donne italiane ed europee mi ha insegnato che non hanno bisogno di essere streghe per assumere la responsabilità e i poteri che spettano loro di diritto. Né angeli, né diavoli, hanno abbandonato le rappresentazioni idealizzate e oggi lottano per emergere nella loro identità:persone vere, con i loro bisogni e potenzialità e la quotidiana fatica di vivere, proprio come gli uomini. Pronte a rivendicare un posto in una società che non può fare a meno di loro.
Tuttavia ho scoperto anche che il traguardo è lontano: socialmente, economicamente e politicamente, la metà femminile nel nostro Paese rimane ancora nell’ombra. E’ un fallimento per una nazione moderna, un grave handicap, ma è anche un errore che può essere corretto. Non c’è nessuna fatalità nella discriminazione. Oggi abbiamo il dovere di applicare i meccanismi grazie ai quali sarà possibile mettere pienamente a frutto la forza delle donne.
Nel corso delle mie interviste ho avanzato fino alla raucedine e forse alla noia, la questione delle cosiddette “quote rosa”. E’ perché io stessa sono una “pentita”: ferocemente contraria quando ne sentii parlare la prima volta ritenevo, come molte pensano ancora oggi, che fossero un modo per ammettere la propria inferiorità e ghettizzarsi da sole. Oggi penso che sia stato un grave errore non averle pretese con la forza necessaria. So che sono una via, forse l’unica, per mettere in risalto le competenze femminili in un mondo che tende a disprezzarle. E per correggere una distorsione del mercato del lavoro: il monopolio maschile del potere decisionale.
Le riforme non sono difficili come alcuni vorrebbero lasciarci pensare. Prendiamo la Francia, Paese latino con un governo di destra. Il 31 gennaio 2007 il Parlamento francese ha approvato una legge che prevede la presenza, negli organi esecutivi comunali delle città con più di 3500 abitanti, di un numero uguale di uomini e donne. Ha così completato la norma che prevedeva la parità tra i sessi anche all’interno dei consigli comunali. Un anno dopo, nel marzo del 2008, le elezioni municipali hanno sancito la quasi parità tra i sessi nei comuni interessati dalla legge: 42.650 donne sono state elette sugli 87.873 incarichi da coprire. Ovvero il 48,5 per cento delle poltrone sono state rifoderate di rosa. La ripartizione degli assessorati lascia ancora a desiderare, con le donne spesso incaricare di gestire ambiti considerati secondari, ma il progresso è innegabile e il potere locale è diventato un altro fronte della battaglia per la parità politica in Francia.
In Italia siamo molto lontani dai nostri vicini d’Oltralpe:le donne rappresentano solo il 17,6 per cento dei consiglieri comunali e meno del 9,7 per cento dei sindaci. Questo squilibrio è il sintomo di una grave mancanza di democrazia. Smentisce fin dal primo livello di rappresentanza politica, il principio di uguaglianza tra i sessi che pure è tra i fondamenti teorici dell’ Italia repubblicana. E’ una vera e propria ingiustizia che racchiude una grave accusa contro i responsabili del perpetuarsi di questa situazione: i partiti politici. Sono loro che devono dare l’esempio, non solo con le pennellate di rosa in campagna elettorale, ma promuovendo norme e leggi che consentano di rompere davvero il soffitto di cristallo.
Questo è vero riformismo. Libererebbe molti talenti preziosi per la gestione di realtà locali sempre più complesse e conflittuali. Aprirebbe la strada alla creazione di una nuova classe dirigente politica femminile sul territorio. Preparerebbe la costituzione di un Parlamento nazionale con davvero pari opportunità, responsabilità, rappresentanza. Possiamo chiedere questo ai partiti che da troppo tempo si sono arrogati il diritto di parlare per noi. Sono pronti oppure no a presentare in tutte le città italiane lo stesso numero di donne e di uomini per coprire gli incarichi dei consigli comunali?
Questo non è che uno dei fronti che si possono e devono aprire.
C’è la battaglia contro gli stereotipi del femminile nei media, c’è l’emergenza violenza da affrontare, c’è da riconquistare persino il diritto al proprio specifico riconosciuto dolore.
E mentre si affrontano le lotte del domani per la rappresentanza in politica e la parità nelle professioni, non ci si può permettere di perdere di vista le conquiste di ieri, continuamente minacciate da chi – uomini e donne- auspica un rassicurante, ma impraticabile, ritorno al passato.
La prima cosa da fare è ricostruire un dialogo femminile che fino a pochi anni fa era vivo e fecondo. E che oggi non è certo spento, ma offuscato dalle emergenze del presente. Donne con diverse fedi politiche, credi religiosi, professioni, vite, devono tornare a parlarsi di quello che veramente serve a tutte quante. Ovvero il diritto ad essere cittadine, lavoratrici, mogli, madri o nessuna di queste cose se lo desiderano, ma anche tutte, se ne sentono il bisogno. Accanto a uomini che finalmente accettino di rimettersi in discussione. Smettendola di fingersi ignari che anche per loro il mondo è cambiato.
Per questo la battaglia va condotta in parte contro coloro che non vogliono cedere, e non cederanno spontaneamente, le leve del potere. Non si tratta di intraprendere una campagna per l’annientamento dei maschi, bensì di lavorare per la piena realizzazione delle potenzialità di ognuno. E non solo perché una piena partecipazione femminile alla politica e all’economia porta, come abbiamo visto, più ricchezza e più figli. Ma anche perché una vita migliore per le donne significa meno frustrazioni, relazioni meno conflittuali, una quotidianità più serena. E forse persino un nuovo approccio al potere che potrebbe fermare la deriva del pianeta.
Non è un’utopia: le utopie nei secoli si sono sempre dimostrate pericolose. E’ credo, un’opportunità da cogliere, ricongiungendo nell’impresa comune le due metà del cielo.
Vogliamo tutto. Stavolta dobbiamo volerlo tutti assieme.»

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